Tularemia

Cos’è la tularemia? Rischio di prenderla se sono stato graffiato dal gatto? E se mi ha morso un coniglio?

La risposta è assolutamente no e in questo articolo è spiegato perché, considerando epidemiologia, trasmissione, sintomi, diagnosi e terapia.

La “febbre del coniglio”

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La Tularemia, nota anche come “febbre del coniglio” è una zoonosi, ovvero una malattia che si trasmette dagli animali all’uomo in determinati contesti.

L’agente eziologico responsabile è la Francisella tularensis, un coccobacillo gram-negativo, aerobio obbligato, il cui fattore di virulenza è una capsula ricca di lipidi.

I batteri del genere Francisella sono intracellulari facoltativi e di solito sopravvivono e si moltiplicano all’interno dei macrofagi.

Trasmissione

La tularemia si contrae attraverso il contatto diretto con i tessuti infetti degli animali oppure attraverso il morso o la puntura di artropodi infetti, tra cui zecche, mosche e tafani.

E’ anche possibile la trasmissione per via orale in caso di ingestione di acqua contaminata.

La Francisella tularensis infetta diversi mammiferi domestici e selvatici, ma anche uccelli e animali di piccola taglia, pertanto il pool degli ospiti è abbastanza ampio.

Il batterio ha una bassissima dose infettante, infatti è sufficiente l’inalazione o l’inoculazione di sole dieci unità per causare la malattia (per questo motivo è considerato una potenziale arma biologica da monitorare).

Epidemiologia

Tularemia

Le aree endemiche per la tularemia sono alcuni stati degli USA tra cui l’Arkansas, il Missouri e l’Oklahoma.

L’incidenza della malattia è più alta nei mesi estivi, in quanto è favorita l’esposizione agli artropodi, tuttavia si registrano casi anche nei mesi invernali dovuti all’esposizione alle carcasse di animali infetti.

La tularemia colpisce elettivamente determinate categorie professionali che sono a contatto frequente con animali, in particolare i veterinari, i cacciatori, i conciatori di pelli, gli addetti all’allevamento del bestiame.

Patogenesi

Tularemia

Una volta inoculato, il microrganismo si moltiplica localmente per 3-5 gg e nel sito di ingresso compare una papula scarsamente dolente che successivamente si trasforma in pustola e si ulcera.

L’ulcera può persistere per alcune settimane e da qui il microrganismo passa ai linfonodi loco-regionali. Questi ultimi rappresentano il punto di partenza per la la diffusione sistemica del batterio, il quale può interessare i polmoni, il fegato, la milza, i reni e il SNC.

Segni e sintomi

La malattia può avere una gravità variabile da forme lievi a forme mortali, in virtù della virulenza del microrganismo, del sito di ingresso e dell’immunità dell’ospite.

In seguito all’ingresso del batterio l’esordio della malattia è brusco con quadro simil-influenzale (febbre, cefalea, astenia, anoressia).
A seconda dell’evoluzione successiva si distinguono varie forme:

Tularemia ulcero-ghiandolare

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È la forma più comune.

L’ulcera si forma nel sito della puntura di un artropode (generalmente tronco o arti inferiori) oppure nella zona cutanea venuta a contatto con tessuti animali infetti (mani o avambracci); possono verificarsi anche lesioni multiple.

Dopo alcuni giorni compare la linfoadenopatia per diffusione del batterio ai linfonodi loco-regionali.

Tularemia ghiandolare

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Occasionalmente ci può essere linfoadenopatia senza ulcera o comunque con una lesione minima nel sito di inoculazione o che sia guarita prima che il paziente se ne renda conto. Questa è la forma ghiandolare (perché si rende evidente solo attraverso i linfonodi).

Tularemia oculo-ghiandolare

In questa rara forma il microrganismo penetra attraverso la congiuntiva, per cui inizialmente il paziente presenta flogosi congiuntivale, lacrimazione e fotofobia.

Tularemia faringea

Altra forma rara in cui l’ingresso è faringeo con sviluppo di una grave forma di angina.

Tularemia polmonare

È il risultato dell’inalazione di aerosol provenienti da tessuti infetti (carcasse) con sviluppo di una polmonite primaria oppure può essere secondaria alla disseminazione ematogena.

Tularemia tifoide (sistemica)

Si tratta della malattia sistemica in cui il microrganismo ha colpito diversi distretti.

Diagnosi

La diagnosi si basa innanzitutto su una storia anamnestica di possibile esposizione (anche e soprattutto in base all’attività professionale) associata ad una presentazione clinica compatibile (es. la sequenza puntura-ulcera-linfoadenopatia).

Per supportare il sospetto diagnostico gli unici esami disponibili sono la sierologia e la coltura del batterio, prelevato da materiale dell’ulcera, biopsia linfonodale oppure espettorato.

L’esame colturale tuttavia non è sempre disponibile in quanto la Francisella tularensis è nutrizionalmente esigente, ed essendo altamente contagiosa, il laboratorio deve avere misure di sicurezza adeguate.

Terapia

Il farmaco di elezione per questa patologia è la streptomicina (classe degli aminoglicosidi); in alternativa si può utilizzare la gentamicina.

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