Insufficienza cardiaca: trattazione basata sulle linee guida ESC

L’insufficienza cardiaca, in passato anche detta scompenso cardiaco, è una delle patologie cardiovascolari più frequenti nel mondo occidentale.

Nei Paesi industrializzati la prevalenza nella popolazione adulta è dell’1-2%; col progredire dell’età aumenta in maniera esponenziale e negli anziani con più di 70 anni è maggiore o uguale al 10%.

Tuttavia essa non è una patologia primitiva del cuore, piuttosto è la conseguenza, o meglio lo stadio finale, di un numero consistente di patologie cardiache.

Il termine insufficienza cardiaca spesso è accompagnato da altri aggettivi che ne cambiano la connotazione. Ad esempio si parla di insufficienza cardiaca congestizia quando sono preponderanti le manifestazioni della congestione.

In base al ventricolo incapace di pompare sangue invece si specifica insufficienza cardiaca destra o sinistra.

Essendo una condizione gravata da un’elevata mortalità, la diagnosi precoce è fondamentale per impostare subito un trattamento adeguato e prevenire la progressione.

Definizione di insufficienza cardiaca

Definizione di insufficienza cardiaca

Secondo la definizione delle linee guida ESC 2016, l’insufficienza cardiaca o scompenso cardiaco è una sindrome clinica caratterizzata da sintomi tipici (affanno, debolezza e gonfiore delle caviglie) eventualmente accompagnati da segni (elevata pressione giugulare, crepitii polmonari ed edemi periferici) causati da un’anomalia cardiaca strutturale e/o funzionale, la quale comporta un ridotto output cardiaco e/o un’elevata pressione intracardiaca a riposo o sotto sforzo.

Si parla di “insufficienza” perché l’attività del cuore non è più sufficiente ad assicurare un’adeguata perfusione dei tessuti. In altre parole il cuore non pompa una quantità di sangue sufficiente a far funzionare correttamente l’organismo.

In inglese la patologia è indicata come “Heart Failure” (HF), letteralmente “fallimento o guasto del cuore”.

Il termine “scompenso” invece, pur essendo affine a quello di insufficienza, pone l’accento sul fatto che l’attività cardiaca – a prescindere dal fatto che si associ a una gittata ridotta oppure ad una gittata normale ma con aumento della pressione intracardiaca – non compensa più le necessità metaboliche dei tessuti periferici.

Disfunzione ventricolare e insufficienza cardiaca

Da quanto esposto si evince che la definizione corrente di insufficienza cardiaca restringe il campo allo stadio in cui i sintomi clinici sono evidenti.

Tuttavia prima che i sintomi diventino manifesti, i pazienti possono presentarsi con anomalie cardiache strutturali o funzionali asintomatiche che sono i precursori dell’insufficienza cardiaca e sono responsabili di una disfunzione ventricolare.

Il riconoscimento di questi precursori è importante perché sono correlati a una prognosi sfavorevole. Iniziare il trattamento a questo stadio può ridurre la mortalità.

Pertanto la dimostrazione di una sottostante causa cardiaca è fondamentale nella diagnosi di insufficienza cardiaca.

Generalmente si tratta di una anomalia miocardica che causa disfunzione ventricolare sistolica e/o diastolica.

Disfunzione diastolica

Ma cosa vuol dire disfunzione diastolica?

E’ una disfunzione della diastole cardiaca, la fase in cui il ventricolo si rilassa per riempirsi del sangue proveniente dall’atrio.

Nello specifico la disfunzione diastolica è l’alterazione del riempimento ventricolare per cui il ventricolo non si rilassa adeguatamente e si riempie con inevitabile aumento della pressione telediastolica.

Di conseguenza, anche la pressione che l’atrio deve esercitare per spingere il sangue nel ventricolo alla fine della diastole aumenta.

Pertanto la disfunzione diastolica è il ridotto rilassamento ventricolare con incremento della pressione di riempimento e delle pressioni a monte.

Le cause più comuni di disfunzione diastolica sono l’ipertrofia del ventricolo sinistro (LVH, left ventricular hypertrophy) e la fibrosi miocardica.

Disfunzione sistolica

E invece cos’è la disfunzione sistolica?

E’ l’incapacità del ventricolo di espellere una quantità di sangue adeguata ad ogni battito, dovuta ad alterazione della contrattilità.

Il volume di sangue espulso ad ogni battito è chiamato volume sistolico e dipende dalla forza contrattile del ventricolo. Pertanto tutte le condizioni che riducono la contrattilità riducono anche il volume sistolico e determinano disfunzione della sistole.

Le cause più comuni di disfunzione sistolica sono la cardiopatia ischemica e la cardiomiopatia.

disfunzione diastolica e sistolica

Altre forme di disfunzione

Sebbene la disfunzione diastolica e sistolica siano i principali determinanti dell’HF, anche le anomalie delle valvole, del pericardio, dell’endocardio, del ritmo cardiaco e della conduzione possono causare insufficienza cardiaca (e spesso è presente più di una anomalia).

L’identificazione del problema cardiaco sottostante è cruciale anche per ragioni terapeutiche, in quanto ad una data patologia corrisponde uno specifico trattamento (es. riparazione valvolare o sostituzione in caso di valvulopatia, riduzione della frequenza cardiaca nelle tachicardiomiopatie ecc.)

Terminologia internazionale dell’insufficienza cardiaca

Frazione di eiezione

In base a quanto stabilito dalle linee guida ESC 2016, la attuale terminologia usata per descrivere l’insufficienza cardiaca è basata sulla misurazione della frazione di eiezione del ventricolo sinistro (in inglese Left Ventricular Ejection Fraction LVEF).

Questo criterio si è reso necessario in quanto nella definizione dell’insufficienza cardiaca rientrano varie tipologie di pazienti con frazione variabile.

La frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF) corrisponde al rapporto percentuale fra la differenza fra volume telediastolico e volume telesistolico e il volume telediastolico stesso:

LVEF = (VTD – VTS)/VTD %

In termini semplici essa indica quale percentuale del volume presente nel cuore alla fine della diastole (rilasciamento) viene effettivamente spostata nell’albero arterioso ad ogni battito (sistole). In un soggetto normale il valore è maggiore o uguale al 55%.

Classificazione dell’insufficienza cardiaca

La misurazione della frazione di eiezione così definita permette quindi di distinguere, nel contesto dell’insufficienza cardiaca, tre entità clinico-strumentali:

  • Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata, in inglese heart failure with preserved ejection fraction ( HFpEF ), quando la LVEF è >=50% in associazione ai segni e sintomi tipici, ad elevati livelli di peptidi natriuretici e ad almeno un altro criterio fra cardiopatia strutturale rilevante o disfunzione diastolica;
  • Insufficienza cardiaca con frazione di eiezione intermedia, in inglese heart failure with mid-range ejection fraction ( HFmrEF ), quando la LVEF è fra 40-49% in associazione ai segni e sintomi tipici, ad elevati livelli di peptidi natriuretici e ad almeno un altro criterio fra cardiopatia strutturale rilevante o disfunzione diastolica;
  • e insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta, in inglese heart failure with reduced ejection fraction ( HFrEF ), quando la LVEF è <40% in associazione ai segni e sintomi tipici. E’ la forma più comune.
insufficienza cardiaca

Quindi i pazienti che hanno una LVEF compresa fra 40-49% rappresentano la zona grigia definita come HFmrEF. La stratificazione dei pazienti HF in base alla frazione di eiezione è importante per le differenti eziologie, co-morbidità e risposte alle terapie dei vari strati.

HFrEF ed HFpEF

La diagnosi di HFrEF è relativamente semplice in quanto si basa essenzialmente sul riconoscimento di una disfunzione sistolica, la quale è responsabile della riduzione della frazione di eiezione e nella maggior parte dei casi si evidenzia come una dilatazione del ventricolo sinistro.

La diagnosi di HFpEF invece è più difficoltosa rispetto a quella di HFrEF. Infatti i pazienti con frazione preservata generalmente non hanno dilatazione del ventricolo sinistro, ma spesso hanno un incrementato spessore della parete dello stesso (left ventricular hypertrophy, LVH) e/o una dilatazione dell’atrio sinistro (left atrial enlargement, LAE) come segno di un’incrementata pressione di riempimento ventricolare.

Molti di loro hanno anche segni addizionali di compromesso riempimento ventricolare o della capacità di suzione del ventricolo, fenomeni classificati come disfunzione diastolica.

Pertanto la disfunzione diastolica è generalmente riconosciuta come la causa più probabile di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata (per cui in passato si usava il termine “insufficienza cardiaca diastolica”).

Tuttavia molti pazienti con insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione (in passato detta insufficienza cardiaca sistolica) hanno anche una disfunzione diastolica e viceversa sottili anomalie della funzione sistolica si possono riscontrare nei pazienti con frazione preservata.

Per questo motivo oggi si preferisce usare i termini preservata o ridotta frazione di eiezione del ventricolo sinistro (LVEF), piuttosto che preservata o ridotta funzione sistolica.

HFmrEF

Nel gruppo della HFmrEF invece, molto probabilmente vi è una primaria disfunzione sistolica lieve, che si associa a caratteristiche della disfunzione diastolica.

I pazienti che non hanno una malattia rilevabile del miocardio del ventricolo sinistro possono anche avere altre cause cardiovascolari di insufficienza cardiaca (es. ipertensione polmonare, valvulopatie).

Mentre i pazienti con patologie non cardiovascolari (anemia, malattie polmonari, renali o epatiche) possono avere sintomi simili o identici a quelli dell’HF e ciascuna di quelle patologie può complicare o aggravare la sindrome dell’HF.

Terminologia correlata alla gravità dei sintomi di insufficienza cardiaca

Classificazione NYHA

Per descrivere la gravità dei sintomi e l’intolleranza all’esercizio si utilizza, a livello internazionale, la classificazione funzionale NYHA (New York Heart Association) che distingue 4 classi:

  • la classe I, asintomatica, senza limitazione dell’attività fisica;
  • classe II, con lieve limitazione dell’esercizio fisico; il paziente è stabile a riposo, mentre l’attività fisica ordinaria può provocare talvolta dispnea (affanno) inappropriata, affaticamento e cardiopalmo;
  • la classe III, con marcata limitazione dell’esercizio fisico, in cui il paziente è stabile a riposo ma un’attività meno impegnativa dell’ordinario provoca i sintomi già citati;
  • e infine classe IV, in cui il paziente presenta i sintomi dell’insufficienza sia a riposo sia durante lo svolgimento di qualsiasi attività.
classificazione NYHA insufficienza cardiaca

Tuttavia la gravità dei sintomi non correla con le misurazioni della funzione del ventricolo sinistro. Infatti sebbene esista una chiara relazione fra gravità dei sintomi e sopravvivenza, i pazienti con sintomi lievi possono comunque presentare un aumentato rischio di ospedalizzazione e morte.

Talvolta si usa il termine insufficienza cardiaca avanzata per indicare pazienti con sintomi severi, scompenso ricorrente e grave disfunzione cardiaca.

Stadiazione ACCF

La classificazione dell’American College of Cardiology Fondation/American Heart Association (ACCF/AHA) descrive gli stadi dello sviluppo dell’insufficienza cardiaca sulla base dei cambiamenti strutturali e dei sintomi.

Classificazione di Killip dell’insufficienza cardiaca acuta

La classificazione di Killip invece può essere usata per descrivere la gravità della condizione del paziente in un contesto acuto dopo infarto del miocardio.

Terminologia correlata al decorso dell’insufficienza cardiaca

L’insufficienza cardiaca di nuova insorgenza (de novo) può presentarsi acutamente, come nel caso di un infarto acuto del miocardio (IMA) oppure in modo subacuto (graduale), per esempio nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa che spesso hanno sintomi per settimane o mesi prima che la diagnosi sia chiara.

I pazienti che hanno avuto HF per un tempo più o meno lungo sono inquadrati come insufficienza cardiaca cronica.

In tale contesto un paziente trattato in cui i sintomi e segni sono rimasti invariati per almeno 1 mese è considerato stabile.

Se l’HF cronica stabile peggiora, il paziente viene definito scompensato e questo può accadere lentamente o rapidamente, portando all’ospedalizzazione, che viene considerata un elemento di considerevole importanza prognostica.

Il termine insufficienza cardiaca congestizia invece è usato per descrivere un’HF acuta o cronica con segni di sovraccarico di volume.

Un paziente che non ha mai esibito segni e sintomi tipici di HF e che ha una ridotta LVEF ha una condizione di disfunzione sistolica asintomatica del ventricolo sinistro.

Altri pazienti invece, in particolare quelli con cardiomiopatia dilatativa, possono presentare un sostanziale o anche completo recupero della funzione sistolica con la moderna terapia modificante il decorso.

Tutti i termini elencati possono essere applicati ad uno stesso paziente in tempi differenti, in base allo stadio della malattia.

Insufficienza temporanea

Occasionalmente un paziente può avere HF dovuta ad un problema che si risolve completamente, per esempio la miocardite virale acuta, la sindrome tako tsubo o le tachicardiomiopatie.

Epidemiologia dell’insufficienza cardiaca

La prevalenza dell’insufficienza cardiaca dipende dalla definizione applicata, ma è approssimativamente dell’1-2% nella popolazione adulta dei paesi sviluppati. Sale a più del 10% fra i soggetti di età superiore a 70 anni.

Fra i soggetti con più di 65 anni che accedono alle cure primarie per dispnea e affaticamento, uno su sei ha un’insufficienza cardiaca misconosciuta (principalmente una HFpEF).

Il rischio a vita di HF all’età di 55 anni è del 33% per gli uomini e del 28% per le donne.

I dati europei più recenti dimostrano che il tasso di mortalità per tutte le cause a 12 mesi è del 17% nei pazienti con HF ospedalizzati e del 7% in quelli stabili/ambulatoriali, mentre il tasso di ospedalizzazione a 12 mesi è del 44% per i primi e del 32% per i secondi.

Nei pazienti con HF la maggior parte delle morti è dovuta a cause cardiovascolari, principalmente la morte improvvisa e il peggioramento dell’HF.

Differenze fra HFrEF e HFpEF

HFrEF e HFpEF sembrano avere diversi profili epidemiologici ed eziologici.

Negli ultimi 30 anni il miglioramento dei trattamenti ha aumentato la sopravvivenza e ha ridotto il tasso di ospedalizzazione nei pazienti con HFrEF, sebbene l’esito spesso rimane insoddisfacente.

I dati sugli andamenti temporali dei pazienti ospedalizzati suggeriscono che l’incidenza di HF potrebbe essere in riduzione, più per l’HFrEF che per l’HFpEF.

La proporzione di pazienti con HFpEF varia dal 22 al 73 % in base alla definizione applicata, al contesto clinico, all’età e al sesso della popolazione studiata e al pregresso infarto del miocardio.

Rispetto a quelli con HFrEF, i pazienti con HFpEF sono più anziani, più spesso donne e più comunemente hanno una storia di ipertensione e fibrillazione atriale, mentre è meno comune una storia di infarto del miocardio.

La mortalità per tutte le cause è più alta nell’HFrEF che nell’HFpEF. Nei pazienti con HFpEF l’ospedalizzazione è spesso dovuta a cause non cardiovascolari. Inoltre l’ospedalizzazione per cause cardiovascolari non è cambiata dal 2000 al 2010, mentre quella per cause non cardiovascolari è aumentata.

Le caratteristiche dei pazienti con HFmrEF sono intermedie a quelle dei due gruppi precedenti, ma sono necessari ulteriori studi per caratterizzare meglio questa popolazione.

Eziologia dell’insufficienza cardiaca

L’eziologia dell’HF è diversa all’interno e fra le varie regioni del mondo.

Al momento non esiste un singolo sistema classificativo accettato per le cause di HF e fra le potenziali categorie vi è notevole sovrapposizione.

Molti pazienti hanno diverse patologie, cardiovascolari e non cardiovascolari, che concorrono a causare l’insufficienza cardiaca.

L’identificazione di tali patologie dovrebbe essere parte integrante del percorso diagnostico, in quanto può offrire specifiche opportunità terapeutiche.

Ad esempio molti pazienti con HF e cardiopatia ischemica hanno una storia di infarto del miocardio o rivascolarizzazione. Tuttavia una coronarografia normale non esclude una cicatrice miocardica (visibile invece alla RM cardiaca) o una compromissione del microcircolo coronarico.

Secondo lo schema proposto dalle linee guida ESC, le cause dell’insufficienza cardiaca possono essere smistate in tre grandi categorie:

  • le malattie miocardiche;
  • le condizioni di carico anormale;
  • e le aritmie.

Malattie del miocardio

Fra le malattie miocardiche responsabili di HF vi sono:

  • la cardiopatia ischemica, che può determinare varie problematiche quali le cicatrici miocardiche, l’ibernazione del miocardio ischemico, la coronaropatia delle arterie epicardiche, la disfunzione endoteliale e le anomalie del microcircolo coronarico;
  • il danno tossico, dovuto a:
    • sostanze d’abuso quali l’alcol, la cocaina, le anfetamine e gli steroidi anabolizzanti;
    • metalli pesanti tra cui il ferro, il rame, il piombo e il cobalto;
    • radiazioni;
    • farmaci cardiotossici quali antineoplastici (antracicline), immunosoppressori (trastuzumab, cetuximab), antidepressivi, anestetici e antinfiammatori non steroidei (perché aumentano la ritenzione idrica);
  • il danno infiammatorio e immunomediato:
    • correlato ad infezione miocardica (miocarditi) da virus (coxsackie, HIV) batteri, parassiti (trypanosoma cruzi), spirochete, funghi;
    • oppure non correlato ad infezioni nel caso di miocardite linfocitica, miocardite eosinofila (Churg-Strauss), malattie autoimmuni (lupus, artrite reumatoide, Graves);
  • le infiltrazioni miocardiche:
    • maligne, da tumori o metastasi;
    • o non maligne da amiloidosi, sarcoidosi, emocromatosi, malattia di Fabry, malattia di Pompe;
  • gli squilibri metabolici:
    • ormonali come accade nelle malattie tiroidee, delle paratiroidi, nell’acromegalia, nel deficit di GH, nell’ipercortisolemia ecc.
    • o nutrizionali quali il deficit di tiamina, di L-carnitina, di calcio, la malnutrizione ecc;
  • e infine le anomalie genetiche quali la cardiomiopatia ipertrofica, la cardiomiopatia dilatativa, il ventricolo sinistro non compatto, la displasia aritmogena del ventricolo destro, la cardiomiopatia restrittiva e le distrofie muscolari.

Condizioni di carico alterato

Comprendono tutte le situazioni che alterano il postcarico oppure il precarico cardiaco, in particolare:

  • l’ipertensione arteriosa sistemica;
  • i difetti strutturali delle valvole o del miocardio, acquisiti o congeniti;
  • le patologie del pericardio e dell’endocardio quali il versamento pericardico, la pericardite costrittiva, la sindrome ipereosinofila, la fibrosi endomiocardica e la fibroelastosi endocardica;
  • le condizioni ad alta gittata come l’anemia severa, le fistole arterovenose, la gravidanza, la malattia di Paget, la sepsi e la tireotossicosi;
  • il sovraccarico idrico da insufficienza renale o somministrazione esogena di liquidi.

Aritmie

Possono causare scompenso cardiaco:

  • sia le tachiaritmie atriali o ventricolari;
  • sia le bradiaritmie quali i disturbi della conduzione intracardiaca e le disfunzioni del nodo senoatriale.

Fisiopatologia dello scompenso cardiaco

L’insufficienza cardiaca è una patologia progressiva che rappresenta il risultato finale dei processi di rimodellamento miocardico.

Rimodellamento

I processi di rimodellamento del miocardio sono essenzialmente tre:

  • l’ipertrofia concentrica;
  • l’ipertrofia eccentrica;
  • e la fibrosi miocardica.

L’ipertrofia concentrica consiste nell’ispessimento delle pareti del ventricolo ed è la conseguenza di un sovraccarico di pressione. I singoli miocardiociti aumentano di volume per apposizione di nuovi sarcomeri in parallelo, pertanto macroscopicamente si osserva un aumento dello spessore del miocardio ventricolare.

Una parete spessa è anche meno distensibile per cui provoca un’alterazione del riempimento ventricolare con aumento della pressione telediastolica. Questo fenomeno con il tempo porta alla disfunzione diastolica, già citata prima.

L’ipertrofia eccentrica invece è la dilatazione della camera ventricolare dovuta ad un sovraccarico di volume. In questo caso l’apposizione dei nuovi sarcomeri avviene in serie con allungamento dei miocardiociti.

Con il tempo la progressiva dilatazione del ventricolo riduce anche la forza di contrazione e quindi il volume sistolico espulso ad ogni battito. Questo fenomeno corrisponde alla disfunzione sistolica citata prima.

La fibrosi miocardica infine, consiste nella sostituzione del tessuto muscolare cardiaco con tessuto connettivo fibroso ed è la conseguenza della necrosi miocardica (cardiopatia ischemica).

Il tessuto fibroso non possiede né attività contrattile né distensibilità pertanto la formazione di aree cicatriziali nella parete del ventricolo può determinare sia una disfunzione sistolica sia una disfunzione diastolica.

Ecco come il danno miocardico iniziale, a causa del rimodellamento, progredisce fino alla disfunzione ventricolare.

Meccanismi neuroendocrini

La riduzione della portata cardiaca porta all’attivazione di una serie di meccanismi neurormonali compensatori responsabili della comparsa dei principali sintomi e segni dello scompenso cardiaco (dispnea da sforzo e a riposo, ortopnea, cardiopalmo, epatomegalia dolente, edemi declivi).

I due sistemi fondamentali che si attivano precocemente sono:

  • il sistema renina-angiotensina-aldosterone (SRAA);
  • e il sistema nervoso simpatico (SNS).

La progressiva attivazione del SRAA, legata alla riduzione del flusso renale, contribuisce a ripristinare, almeno parzialmente, l’equilibrio emodinamico attraverso meccanismi vasocostrittori e di ritenzione idrosalina.

L’attivazione del SNS invece determina a livello renale un maggiore rilascio di renina e, quindi, di angiotensina II e aldosterone. Inoltre, comporta un aumento diretto delle resistenze vascolari periferiche e della frequenza cardiaca con aumentato consumo miocardico di ossigeno.

Pertanto, questi stessi meccanismi di compenso contribuiscono alla progressione dell’insufficienza cardiaca attraverso l’aumento dell’ ipertrofia e della fibrosi miocardica.

Infine, la riduzione della portata cardiaca comporta un minore stimolo dei barocettori ad alta pressione del ventricolo sinistro, con conseguente generazione di segnali che stimolano i centri cardioregolatori a livello cerebrale e rilascio di ormone antidiuretico (ADH) dall’ipofisi posteriore.

L’ADH esplica la sua azione mediante la stimolazione della vasocostrizione e il riassorbimento di acqua libera, contribuendo alla congestione venosa e all’iponatriemia.

Peptidi natriuretici

Il sistema dei peptidi natriuretici è, invece, un sistema controregolatore che ha effetti positivi nei pazienti con scompenso cardiaco. Essi sono prodotti dai cardiomiociti, in risposta allo stress di parete, ed esercitano un’azione vasodilatatrice e diuretica, partecipando a un complesso sistema di regolazione del tono vasomotorio e dell’equilibrio idrosalino in antagonismo funzionale con il SRAA.

Le cellule miocardiche producono un precursore, detto pro-BNP, che in seguito è scisso nella componente attiva, il BNP (peptide natriuretico di tipo B), e in un frammento inattivo detto NTpro-BNP.

Il BNP è rapidamente degradato in circolo da diverse peptidasi, tra cui la neprilisina, un’endopeptidasi neutra che degrada anche altri peptidi vasoattivi come la bradichinina.

I suddetti meccanismi fisiopatologici giustificano l’importanza del trattamento farmacologico dell’insufficienza cardiaca mediante l’uso di farmaci capaci di modulare questi sistemi: ACE-inibitori, sartani, β-bloccanti, antagonisti recettoriali dell’aldosterone e, in ultimo, gli antagonisti del recettore della neprilisina e del recettore dell’angiotensina (ARNI; disponibile l’associazione sacubitril/valsartan).

L’inibizione della neprilisina, a opera del metabolita attivo di sacubitril (LBQ657), aumenta i livelli di BNP, riducendo di fatto la vasocostrizione, la ritenzione di sodio e il rimodellamento cardiaco maladattativo. A ciò si aggiungono gli effetti positivi del bloccante del recettore dell’angiotensina II di tipo 1 (AT1).

Diagnosi dell’insufficienza cardiaca

insufficienza cardiaca

I sintomi spesso non sono specifici e pertanto non aiutano a discriminare fra HF e altri problemi.

I segni quali l’elevata pressione venosa giugulare e la dislocazione dell’itto della punta (impulso apicale cardiaco) sono più specifici ma sono anche più difficili da rilevare e hanno una scarsa riproducibilità.

Sintomi

Le linee guida ESC distinguono i sintomi in:

  • tipici quali:
    • dispnea, che nel gergo comune corrisponde all’affanno, al respiro corto;
    • ortopnea, è la dispnea che compare in posizione supina, la quale costringe il paziente ad assumere la posizione seduta per recuperare il respiro;
    • dispnea parossistica notturna, ovvero crisi di dispnea durante la notte sempre dovute alla posizione clinostatica;
    • intolleranza all’esercizio fisico;
    • affaticamento, debolezza e aumento del tempo di recupero dopo l’esercizio fisico;
    • Edemi declivi, di cui la forma più tipica è il gonfiore delle caviglie;
  • e meno tipici come:
    • tosse notturna;
    • sibili respiratori (asma cardiaco);
    • sensazione di gonfiore;
    • palpitazioni;
    • vertigini;
    • sincope;
    • bendopnea, ovvero la comparsa di dispnea quando si inclina il tronco in avanti (come quando ci si allaccia le scarpe).

Segni

I segni invece sono distinti in:

  • più specifici:
    • aumentata pressione venosa giugulare;
    • reflusso epatogiugulare;
    • terzo tono cardiaco (ritmo da galoppo);
    • itto della punta spostato lateralmente;
  • meno specifici:
    • guadagno di peso (>2 Kg in una settimana);
    • perdita di peso (nell’insufficienza avanzata);
    • edemi periferici;
    • crepitii polmonari;
    • ottusità alla percussione delle basi polmonari (per versamento pleurico);
    • tachicardia;
    • tachipnea;
    • polso irregolare;
    • epatomegalia;
    • ascite;
    • estremità fredde;
    • oliguria.

La valutazione dei segni e sintomi è importante anche per monitorare la risposta al trattamento e la stabilità.

Infatti la persistenza dei sintomi nonostante il trattamento in atto generalmente indica che è necessario intensificare la terapia, invece il peggioramento dei sintomi rappresenta un cambiamento serio che richiede un rapido aggiustamento della terapia.

Indagini iniziali

Peptide natriuretico

La concentrazione plasmatica del peptide natriuretico può essere utilizzata come test diagnostico iniziale, specialmente in un contesto non acuto in cui l’ecocardiografia non è subito disponibile.

L’elevazione del peptide natriuretico aiuta a identificare i soggetti che richiedono ulteriori indagini cardiache. I pazienti che hanno un valore inferiore al cut-off di disfunzione cardiaca importante non richiedono l’ecocardiogramma.

Nei pazienti in cui il valore del BNP è normale è improbabile che ci sia insufficienza cardiaca.

Valori di riferimento

In un contesto non acuto il limite superiore di normalità per il BNP (peptide natriuretico di tipo B) è di 35 pg/ml mentre per l’NT-proBNP (N-terminale proBNP) è di 125 pg/ml.

In un contesto acuto si utilizzano cut-off più alti: BNP < 100 pg/ml, NT-proBNP < 300 pg/ml, MR-proANP < 120 pmol/L (mid-regional pro A-type natriuretic peptide).

In media i valori di peptide natriuretico sono più bassi nell’HFpEF rispetto all’HFrEF. Comunque i valori diagnostici si applicano ugualmente ad entrambe.

Per i cut-off menzionati il valore predittivo negativo è alto sia nel contesto non acuto che in quello acuto (94-98%), mentre il valore predittivo positivo è più basso.

Per questo motivo l’uso dei peptidi natriuretici è raccomandato per escludere l’insufficienza cardiaca, ma non per fare diagnosi.

Limiti

Esistono numerose cause, cardiovascolari e non, di incremento dei peptidi natriuretici che ne indeboliscono l’utilità nella diagnostica dell’insufficienza cardiaca. Fra queste vi sono la fibrillazione atriale, l’ipertrofia del ventricolo sinistro, le valvulopatie, le tachiaritmie, l’ictus ischemico, la cirrosi epatica, la BPCO, l’anemia, l’età e l’insufficienza renale.

D’altro canto i livelli di peptide natriuretico possono essere sproporzionatamente bassi nei pazienti obesi.

Elettrocardiogramma

Un ECG anormale incrementa la probabilità di diagnosi di insufficienza cardiaca ma ha una bassa specificità. Alcune anomalie dell’ECG forniscono informazioni sull’eziologia (es infarto del miocardio) e alcuni reperti forniscono indicazioni sulla terapia (es terapia anticoagulante nella fibrillazione atriale, pacing per la bradicardia, CRT in caso di allungamento dei complessi QRS).

L’insufficienza cardiaca è improbabile nei pazienti con un ECG completamente normale (sensibilità dell’89%). Pertanto l’uso di routine dell’ECG è raccomandato principalmente per escludere l’HF.

Ecocardiogramma

L’ecocardiogramma invece è un esame molto utile per fare diagnosi di insufficienza cardiaca, infatti fornisce informazioni immediate sul volume delle camere, sulla funzione sistolica e diastolica dei ventricoli, sullo spessore della parete e sulla funzione valvolare. Queste informazioni sono cruciali per inquadrare la situazione e stabilire un appropriato trattamento.

I dati ottenuti dall’esame obiettivo e dagli esami sopra elencati permettono di effettuare un primo inquadramento diagnostico e un piano di trattamento nella maggior parte dei pazienti. Altri esami sono necessari quando la diagnosi rimane incerta.

Algoritmo diagnostico per l’insufficienza cardiaca

Contesto non acuto

Per i pazienti che presentano segni e sintomi per la prima volta in modo non acuto, in un contesto ambulatoriale o di assistenza primaria, la probabilità di insufficienza cardiaca deve essere valutata inizialmente sulla base della pregressa storia clinica del paziente (es malattia coronarica, ipertensione arteriosa, uso di diuretici), del tipo di sintomi presentati (es ortopnea), dell’esame obiettivo (es edema bilaterale, aumento della pressione venosa giugulare, dislocazione dell’itto della punta) e dell’ECG a riposo.

Se tutti gli elementi sono normali, l’insufficienza cardiaca è altamente improbabile e bisogna considerare altre diagnosi.

Se almeno un dato è anormale occorre misurare i livelli dei peptidi natriuretici, se disponibili, in modo da identificare i pazienti che richiedono l’ecocardiografia (l’ecocardiogramma è indicato se i livelli di peptide natriuretico sono al di sopra della soglia di esclusione o se i livelli di peptide circolante non si possono misurare).

algoritmo insufficienza cardiaca

Diagnosi di HFpEF

La diagnosi di insufficienza cardiaca con frazione di eiezione preservata resta una sfida. In questo caso la frazione di eiezione del ventricolo sinistro è normale e i segni e sintomi di insufficienza spesso sono non-specifici e non discriminano bene fra HF e altre condizioni.

La diagnosi di HFpEF cronica, specialmente nei pazienti anziani con comorbidità senza segni certi di sovraccarico idrico centrale, è difficile e manca un gold standard validato.

Per migliorare la specificità della diagnostica di HFpEF, la diagnosi clinica deve essere supportata da misurazioni oggettive di disfunzione cardiaca a riposo o durante l’esercizio fisico.

Requisiti

Pertanto la diagnosi di HFpEF richiede la presenza delle seguenti condizioni:

  • segni e sintomi di insufficienza cardiaca;
  • una frazione di eiezione preservata, definita come LVEF>=50% o fra 40-49% per HFmrEF;
  • elevati livelli di peptidi natriuretici (BNP > 35 pg/ml e/o NT-proBNP>125 pg/ml);
  • evidenza oggettiva di altre alterazioni cardiache strutturali e funzionali che sottendono l’insufficienza cardiaca;
  • in caso di incertezza, per confermare la diagnosi possono essere necessari un test da sforzo oppure una misurazione invasiva della pressione di riempimento del ventricolo sinistro.

L’inquadramento iniziale consiste nella diagnosi clinica compatibile con l’algoritmo presentato sopra e nella valutazione della LVEF tramite ecocardiografia.

Il cut-off del 50% per la diagnosi di HFpEF è arbitrario; infatti pazienti con LVEF fra 40-49% spesso sono classificati come HfpEF nei trial clinici.

Nelle ultime linee guida del 2016 comunque HFpEF viene definita come una condizione con LVEF>=50% mentre i pazienti con LVEF fra 40-49% sono considerati una zona grigia indicata come HFmrEF.

L’ECG a riposo può rivelare anomalie quali fibrillazione atriale, ipertrofia del ventricolo sinistro e anomalie della ripolarizzazione.

Un ECG normale e/o concentrazioni plasmatiche di BNP<35 pg/ml e/o Nt-proBNP<125 pg/ml rendono improbabile una diagnosi di HfpEF, HFrEF o HFmrEF.

Alterazioni ecocardiografiche

Lo step successivo consiste nella dimostrazione oggettiva di alterazioni funzionali o strutturali del cuore, come cause sottostanti.

Le alterazioni chiave di tipo strutturale sono un LAVI > 34 ml/m2 (left atrial volume index) o un LVMI >= 115g/m2 per i maschi  (left ventricular mass index) e >=95g/m2 per le femmine.

Le alterazioni chiave di tipo funzionale invece sono un rapporto E/e’>=13 e un e’ medio settale e laterale <9cm/s.

NOTA: E=picco di velocità del flusso transmitralico diastolico precoce (velocità mitralica), e’= velocità protodiastolica del flusso misurata all’anulus mitralico (velocità anulare mitralica), può essere settale o laterale.

Questi due parametri rappresentano un surrogato non invasivo della pressione diastolica del ventricolo sinistro.

Altre misure ricavate dall’ecocardio sono lo stiramento longitudinale e la velocità del rigurgito della tricuspide (TRV= tricuspid regurgitation velocity).

Un test di stress diastolico si può effettuare con l’ecocardiografo usando un protocollo di esercizio con cicloergometro biciclo semisupino, con valutazione dei cambiamenti della pressione del LV (E/e’) e dell’arteria polmonare (TRV), della disfunzione sistolica (longitudinal strain) del volume di eiezione e della portata cardiaca.

L’incremento indotto dall’esercizio del rapporto E/e’ oltre il cut off diagnostico (>13) è il parametro più utilizzato.

In alternativa si può effettuare una misurazione invasiva in emodinamica della pressione di incuneamento capillare polmonare (PCWP pulmonary capillary wedge pressure, cut off >=15) e della pressione telediastolica del ventricolo sinistro (LVEDP left ventricular end diastolic pressure, cut-off >=16).

HFpEF e fibrillazione atriale

La diagnosi di HFpEF nei pazienti con fibrillazione atriale (FA) è difficile. Dato che la fibrillazione atriale si associa ad alti livelli di peptidi natriuretici, l’utilizzo del BNP e dell’NT-proBNP per la diagnosi di HFpEF richiede una stratificazione sulla base della presenza di ritmo sinusale (cut off bassi) o fibrillazione atriale (cut off alti).

Il LAVI viene incrementato dalla FA e i parametri di disfunzione diastolica sono meno standardizzati per cui probabilmente sono necessari dei cut-off diversi.

D’altro canto però la FA può essere un segno di HFpEF. Inoltre i pazienti con FA e HFpEF possono avere insufficienza cardiaca più avanzata rispetto a pazienti con HFpEF e ritmo sinusale.

I pazienti con HFpEF rappresentano un gruppo eterogeneo con diverse eziologie sottostanti e anomalie fisiopatologiche. Sulla base di specifiche cause sospettate si possono effettuare differenti test diagnostici, tuttavia essi sono raccomandati solo quando i loro risultati influenzano la gestione clinica.

Imaging cardiaco e altri test nell’insufficienza cardiaca

L’imaging cardiaco gioca un ruolo centrale nella diagnosi di insufficienza cardiaca e nel guidare il trattamento. Fra le diverse modalità di imaging disponibili, l’ecocardiografia è il metodo di scelta nei pazienti con sospetta insufficienza cardiaca per ragioni di accuratezza, disponibilità, sicurezza e costi.

L’ecocardiografia può essere affiancata da altre modalità scelte sulla base della capacità di rispondere a specifici quesiti clinici e prendendo in considerazione le controindicazioni e i rischi dei vari test.

In generale gli esami di imaging dovrebbero essere effettuati quando hanno una ricaduta clinica significativa. L’affidabilità dei risultati dipende dalla modalità di imaging, dall’operatore, dalla qualità dell’imaging e dall’esperienza. I valori normali possono variare in base all’età e al sesso.

Radiografia del torace

L’RX torace è di scarso uso clinico nella diagnostica di insufficienza cardiaca. Probabilmente è molto utile per identificare una spiegazione alternativa polmonare per i sintomi e segni del paziente, per esempio una malignità polmonare o una malattia polmonare interstiziale.

L’Rx torace può comunque mostrare congestione venosa polmonare o edema in un paziente con HF ed è più utile in un contesto acuto.

E’ importante ricordare che una significativa disfunzione del LV può essere presente anche senza cardiomegalia all’rx torace.

Ecocardiografia transtoracica

Ecocardiografia è il termine usato per indicare la tecnica di imaging cardiaca che utilizza gli ultrasuoni e può essere bidimensionale o tridimensionale, a onda Doppler pulsata o continua, color Doppler, tissue Doppler, di contrasto oppure di deformazione (valutazione dello strain e dello strain rate).

L’ecocardiografia transtoracica è la tecnica di scelta per valutare la funzione sistolica e diastolica di entrambi i ventricoli.

Valutazione della funzione sistolica del LV

Per la misurazione del LVEF è raccomandata la regola biplanare modificata di Simpson. Il volume telediastolico del LV (LVEDV) e il volume telesistolico del LV (LVESV) si ottengono dalla visuale apicale a due e a quattro camere. Questo metodo si affida ad un accurato tracciamento dei margini endocardici. La misurazione delle anomalie cinetiche regionali di parete è particolarmente utile nei pazienti con coronaropatia o miocardite.

L’ecocardiografia tridimensionale migliora la quantificazione dei volumi del LV e del LVEF e ha la migliore accuratezza rispetto ai valori ottenuti con risonanza magnetica cardiaca.

Le tecniche Doppler permettono di calcolare le variabili emodinamiche come lo stroke volume index (stroke volume = volume sistolico) e la gittata cardiaca sulla base del Velocity time integral (VTI) misurato sul tratto di efflusso del LV.

Negli ultimi anni i parametri tissue Doppler (onda S) e le tecniche di imaging di deformazione (strain e strain rate) si sono dimostrate utili in ambito clinico, specialmente per rilevare sottili anomalie della funzione sistolica nello stadio preclinico.

Valutazione della funzione diastolica del LV

Si pensa che la disfunzione diastolica sia l’anomalia fisiopatologica sottostante alla HFpEF e forse alla HFmrEF, pertanto la sua identificazione è cruciale nella diagnosi.

Benchè l’ecocardiografia sia la momento la sola tecnica di imaging che permette di rilevare la disfunzione diastolica, nessuna variabile ecocardiografica da sola è sufficientemente accurata per porre diagnosi di disfunzione diastolica del LV.

Per questo le linee guida raccomandano un esame ecocardiografico completo che comprenda sia i dati bi-dimensionali sia i dati Doppler.

Valutazione della funzione del ventricolo destro e della pressione arteriosa polmonare

Un aspetto obbligatorio dell’esame ecocardiografico è la valutazione della struttura e della funzione del ventricolo destro (RV).

Fra i parametri che riflettono la funzione sistolica del RV i più importanti sono: l’escursione sistolica del piano anulare della tricuspide (TAPSE=tricuspid annular plane systolic excursion, se <17 mm indica disfunzione sistolica del RV) e la velocità del flusso sistolico anulare laterale della tricuspide (derivata dal tissue Doppler) indicata con s’ (s’<9,5 cm/s indica disfunzione sistolica RV)

La pressione sistolica nell’arteria polmonare si ottiene da una registrazione ottimale del jet di rigurgito massimale della tricuspide e del gradiente sistolico della tricuspide, insieme a una stima della pressione nell’atrio destro basata sul calibro della vena cava inferiore e sul suo collasso correlato al respiro.

Un ulteriore metodo quantitativo di valutazione della funzione del RV è l’ecocardiografia tridimensionale con tracciamento delle macchioline (speckle tracking).

Ecocardiografia transesofagea

L’ecocardiografia transesofagea non è necessaria nella diagnostica di routine dell’insufficienza cardiaca. Comunque può essere utile in alcuni scenari clinici di valvulopatia, sospetta dissezione aortica, sospetta endocardite o malattie cardiache congenite e per escludere trombi intracavitari nei pazienti con FA che richiedono cardioversione.

Quando la gravità della malattia valvolare non combacia con i sintomi usando l’ecocardiografia transtoracica, si dovrebbe utilizzare l’eco transesofagea.

Ecocardiografia da sforzo

L’ecocardio da sforzo si dovrebbe utilizzare per rilevare l’ischemia inducibile o la vitalità del miocardio e in alcuni scenari clinici di valvulopatia (rigurgito mitralico dinamico, stenosi aortica a basso gradiente). Alcuni autori suggeriscono che questo test possa rilevare la disfunzione diastolica correlata all’esercizio fisico nei pazienti con dispnea da sforzo, LVEF preservata e parametri diastolici normali a riposo.

Risonanza magnetica cardiaca

La risonanza magnetica cardiaca (in inglese ‘cardiac magnetic resonance’ CMR) è il gold standard per la misura dei volumi, della massa e della frazione di eiezione di entrambi i ventricoli. E’ la migliore modalità di imaging alternativa nei pazienti con ecocardiogramma non diagnostico. Inoltre è il metodo di scelta nei pazienti con cardiopatie congenite.

La CMR è il metodo preferito per valutare la fibrosi miocardica utilizzando il late gadolinium enhancement (LGE) insieme alle sequenze T1 e può essere utile per stabilire l’eziologia dell’insufficienza cardiaca.

La CMR con LGE permette infatti di distinguere fra origine ischemica e non-ischemica dell’insufficienza cardiaca tramite visualizzazione della cicatrice miocardica. Inoltre la CMR permette di caratterizzare il tessuto miocardico in caso di miocardite, amiloidosi, sarcoidosi, malattia di Chagas, miocardio non compatto, malattia di Fabry ed emocromatosi.

La CMR permette di valutare l’ischemia miocardica e la vitalità del miocardio nei pazienti con insufficienza cardiaca e malattia coronarica e quindi di identificare i candidati adatti alla rivascolarizzazione. Tuttavia i pochi trial randomizzati a disposizione non hanno mostrato un reale beneficio derivante dall’identificazione dei pz candidabili a rivascolarizzazione tramite valutazione della vitalità del miocardio(sia con CMR sia con altri metodi).

Limiti della risonanza

Le limitazioni cliniche della CMR comprendono l’impossibilità di utilizzo nei pazienti con impianti metallici o claustrofobici e la minore affidabilità delle misure nei pazienti con tachiaritmie. I mezzi di contrasto a base di gadolinio lineare sono controindicati nei soggetti con GFR < 30 ml/min, perché possono scatenare una fibrosi sistemica nefrogenica (i nuovi mezzi con gadolinio ciclico danno meno problemi).

SPECT

La SPECT (single photon emission computed tomography) può essere utilizzata per valutare l’ischemia e la vitalità del miocardio. La Gated SPECT fornisce anche informazioni sui volumi ventricolari e sulla funzionalità, tuttavia espone il paziente a radiazioni ionizzanti.

La scintigrafia con DPD invece è utile per rilevare l’amiloidosi cardiaca da transtiretina.

PET

La PET (positron emission tomography) da sola o con TC si può utilizzare per valutare l’ischemia e la vitalità, tuttavia i traccianti richiedono un centro con ciclotrone. Un tracciante alternativo è il rubidio, che può essere prodotto localmente a un costo più basso.

Coronarografia

La coronarografia è raccomandata nei pazienti con insufficienza cardiaca che soffrono di angina pectoris resistente a terapia medica, ammesso che il paziente sia candidabile alla rivascolarizzazione.

E’ raccomandata anche nei pazienti con storia di aritmia ventricolare sintomatica o pregresso arresto cardiaco.

Andrebbe considerata invece nei pazienti con HF e probabilità medio-alta di malattia coronarica oppure in presenza di HF e ischemia ai test da sforzo, per stabilire l’origine dell’ischemia.

TC cardiaca

Il principale uso della TC cardiaca nei pazienti con insufficienza cardiaca è la visualizzazione non invasiva dell’anatomia coronarica nei pazienti con HF e probabilità medio-bassa di avere malattia coronarica o con test da sforzo equivoci.

Si effettua solo quando ha delle ricadute sulle decisioni terapeutiche.

Test diagnostici raccomandati nell’insufficienza cardiaca

I seguenti test diagnostici sono raccomandati per la valutazione iniziale del paziente con nuova diagnosi di insufficienza cardiaca, per stabilire la candidabilità del paziente a particolari terapie e per rilevare cause reversibili o trattabili di HF e comorbilità interferenti con HF:

  • emocromo (emoglobina e globuli bianchi);
  • sodio, potassio, creatinina, eGFR;
  • bilirubina, AST, ALT, GGT;
  • glicemia, HbA1c;
  • profilo lipidico;
  • TSH;
  • assetto marziale;
  • peptidi natriuretici.

Test diagnostici aggiuntivi per identificare altre eziologie di HF vanno effettuati solo quando c’è il sospetto che l’HF sia dovuta a patologie particolari.

Un ECG a 12 derivazioni è raccomandato in tutti i pazienti con HF per determinare il ritmo cardiaco, la frequenza, la morfologia e la durata del QRS e per rilevare altre anomalie importanti. Infatti queste informazioni sono necessarie per pianificare e programmare il trattamento.

La radiografia del torace è raccomandata nei pazienti con HF per rilevare/escludere altre malattie polmonari che possono contribuire alla dispnea. Permette anche di identificare la congestione o l’edema polmonare ed è più utile nei contesti acuti.

Test da sforzo

I test da sforzo nei pazienti con insufficienza cardiaca:

  • sono raccomandati come parte della valutazione per trapianto cardiaco e/o supporto circolatorio meccanico;
  • andrebbero considerati per ottimizzare la prescrizione di esercizio fisico (preferibilmente test con esercizi cardiopolmonari);
  • andrebbero effettuati per identificare la causa di una dispnea ingiustificata;
  • infine possono essere usati per rilevare l’ischemia miocardica reversibile.

Cateterizzazione del cuore destro

Per quanto riguarda la cateterizzazione del cuore destro con catetere nell’arteria polomare:

  • e’ raccomandata nei pazienti con grave insufficienza cardiaca che devono essere valutati per trapianto cardiaco o supporto circolatorio meccanico;
  • va considerata nei pazienti con probabile ipertensione polmonare già valutata tramite ecocardiografia, in modo da poter confermare la presenza di ipertensione polmonare e la sua reversibiltà prima di effettuare la correzione di una malattia cardiaca strutturale o valvolare;
  • potrebbe essere considerata per aggiustare la terapia nei pazienti con HF che restano gravemente sintomatici nonostante le terapie standardizzate e in quelli il cui stato emodinamico è incerto;

La biopsia endomiocardica (EMB) va considerata nei pazienti con HF rapidamente progressiva nonostante terapia standard laddove c’è la probabilità di una specifica diagnosi che può essere confermata solo tramite un campione di miocardio ed è disponibile una terapia specifica ed efficace

L’ecografia toracica si può utilizzare per confermare la congestione polmonare e il versamento pleurico nei pazienti con HF acuta.

La misurazione ecografica del diametro della vena cava inferiore può essere utile nella valutazione dello stato della volemia nel paziente con insufficienza cardiaca.

Test genetici nell’insufficienza cardiaca

Nella maggior parte dei pazienti con diagnosi clinica definita di insufficienza cardiaca i test genetici non hanno un ruolo di conferma della diagnosi.

Il counselling genetico è raccomandato in caso di cardiomiopatia ipertrofica, cardiomiopatia dilatativa idiopatica e displasia aritmogena del ventricolo destro. Anche la cardiomiopatia restrittiva e il miocardio non compatto isolato possono beneficiare dei test genetici.

L’analisi del DNA può essere di aiuto anche nella diagnosi delle forme rare quali le cardiomiopatie mitocondriali.

Lo screening dei parenti di primo grado per la diagnosi precoce è raccomandato dalla prima adolescenza in poi, benchè uno screening più precoce si può considerare in base all’età di insorgenza della malattia negli altri membri della famiglia.

Prevenzione dello sviluppo di insufficienza cardiaca

Ci sono prove consistenti a sostegno del fatto che l’insorgenza dell’insufficienza cardiaca si può ritardare o prevenire attraverso interventi atti a modificare i fattori di rischio oppure trattando la disfunzione sistolica asintomatica del LV.

Fattori di rischio

Molti studi clinici mostrano che il controllo dell’ipertensione arteriosa può ritardare l’insorgenza di insufficienza cardiaca.

Ad esempio lo studio SPRINT ha dimostrato che il trattamento dell’ipertensione col fine di raggiungere un target più basso (pressione sistolica < 120 mmHg vs < 140 mmHg) nei soggetti ipertesi anziani (>= 75 anni) o ad alto rischio riduce il rischio cardiovascolare, di morte e di ospedalizzazione per HF.

Per quanto riguarda la sospensione dell’abitudine tabagica essa non sembra correlare con la riduzione del rischio di sviluppare HF, tuttavia l’associazione epidemiologica con lo sviluppo di malattie cardiovascolari suggerisce che tale consiglio se seguito apporta un beneficio.

L’associazione fra assunzione di alcol e rischio di sviluppo di HF de novo ha un andamento a U, con il rischio più basso associato ad un modesto consumo di alcol (massimo 7 drink a settiamana). Un introito maggiore di alcol può innescare lo sviluppo di una cardiomiopatia tossica (alcolica).

Fra l’esercizio fisico e il rischio  di HF è stata riportata una relazione inversa.

L’obesità è anche un fattore di rischio per insufficienza cardiaca, tuttavia l’impatto dei trattamenti per l’obesità sullo sviluppo di HF è sconosciuto.

Farmaci e prevenzione dell’insufficienza cardiaca

Le statine riducono il tasso di eventi cardiovascolari e la mortalità e ci sono prove ragionevoli sul fatto che possano prevenire o ritardare l’insorgenza di HF.

Invece Né l’aspirina, né gli altri antiaggreganti né la rivascolarizzazione hanno mostrato una riduzione del rischio di HF nei pazienti con malattia coronarica stabile.

Nei pazienti con malattia coronarica senza disfunzione sistolica del LV o HF, gli ACE inibitori prevengono o ritardano l’insorgenza di insufficienza cardiaca e riducono la mortalità per tutte le cause.

La titolazione degli antagonisti del sistema renina-angiotensina e dei beta bloccanti alla massima dose tollerata, può migliorare gli esiti, incluso lo sviluppo di HF, nei pazienti con livelli elevati di peptidi natriuretici.

L’inizio di un trattamento con un ACE-I, un beta-bloccante e un antagonista del recettore dei mineralcorticoidi (MRA) subito dopo un infarto del miocardio, specialmente quando questo si associa con disfunzione sistolica del LV, riduce il tasso di ospedalizzazione e mortalità per HF.

Nei pazienti asintomatici con frazione di eiezione del LV cronicamente ridotta, indipendentemente dall’eziologia, un ACE-I può ridurre il rischio di ospedalizzazione per HF. Lo stesso non è stato dimostrato per beta-bloccanti e MRA.

L’angioplastica effettuata nella fase precoce di uno STEMI per ridurre le dimensioni della zona infartuata riduce il rischio di sviluppare una riduzione della LVEF e quindi una successiva HFrEF.

Raccomandazioni ESC per prevenire o ritardare l’insufficienza cardiaca

  • Il trattamento dell’ipertensione è raccomandato per prevenire l’insufficienza cardiaca e prolungare la vita;
  • il trattamento con statine è raccomandato nei pazienti ad alto rischio di o con malattia coronarica indipendentemente dal fatto che ci sia o meno disfunzione sistolica del LV;
  • la cessazione dell’abitudine tabagica e la riduzione dell’introito di alcol sono raccomandate nei soggetti con tali abitudini
  • il trattamento degli altri fattori di rischio per HF (obesità, alterazioni glicemiche) va preso in considerazione;
  • l’empagliflozin va considerato nei pazienti con diabete di tipo 2;
  • gli ACE-I sono raccomandati nei pazienti con disfunzione sistolica asintomatica del LV con o senza storia di infarto del miocardio;
  • gli ACE-I vanno considerati nei pazienti con malattia coronarica stabile anche se non hanno disfunzione sistolica;
  • i beta-bloccanti sono raccomandati nei nei pazienti con disfunzione sistolica asintomatica del LV e storia di infarto del miocardio;
  • l’ICD è raccomandato nei pazienti con disfunzione sistolica asintomatica LV (LVEF =<30%) di origine ischemica, a 40 giorni o più di distanza dopo un infarto del miocardio e nei pazienti con cardiomiopatia dilatativa non-ischemica asintomatica (LVEF =<30%) che ricevono terapia medica ottimizzata per prevenire la morte improvvisa e prolungare la vita.

Trattamento dell’insufficienza cardiaca con ridotta frazione di eiezione

Per quanto riguarda gli obiettivi del trattamento nei pazienti con scompenso cardiaco, essi sono migliorare lo stato clinico, la capacità funzionale e la qualità della vita, prevenire l’ospedalizzazione e ridurre la mortalità.

La figura successiva mostra una strategia di trattamento per l’uso di farmaci e dispositivi nei pazienti con HFrEF secondo le linee guida ESC 2016.

Trattamenti raccomandati in tutti i pazienti con HFrEF

Inibitori dell’enzima convertente l’angiotensina

Gli ACE inibitori (ACE-I) riducono la mortalità e la morbilità nei pazienti con HFrEF e sono raccomandati in tutti i pazienti sintomatici salvo controindicazioni o intolleranza.

Inoltre gli ACE-I andrebbero titolati alla massima dose tollerata in modo da ottenere un’inibizione ottimale del sistema renina-angiotensina-aldosterone. Il raddoppio della dose deve avvenire ad intervalli di almeno 2 settimane nei pazienti ambulatoriali, in quelli ospedalizzati invece è possibile un’intervallo minore sotto monitoraggio.

Pertanto gli ACE-I sono anche raccomandati:

  • potenzialmente in tutti i pazienti con insufficienza cardiaca e LVEF<40%;
  • come trattamento di prima linea (insieme a beta-bloccanti e antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi) nei pazienti con HF in classe NYHA II-IV, da iniziare il prima possibile nel corso della malattia;
  • e nei pazienti con disfunzione sistolica asintomatica del LV per ridurre il rischio di sviluppo di HF, di ospedalizzazione e di morte.

Le controindicazioni principali invece sono:

  • una storia clinica di angioedema;
  • la stenosi dell’arteria renale bilaterale;
  • la gravidanza;
  • e le reazioni allergiche o avverse farmaco-specifiche.

Beta-bloccanti

Anche i beta-bloccanti riducono la mortalità e la morbidità nei pazienti sintomatici con HFrEF, nonostante il trattamento con ACE-I e, in molti casi, con un diuretico, ma non sono stati testati nei pazienti congesti o scompensati.

Pertanto in caso di insufficienza cardiaca congestizia prima di iniziare il beta-bloccante è preferibile risolvere la congestione e raggiungere l’euvolemia.

I beta bloccanti quindi dovrebbero essere iniziati nei pazienti clinicamente stabili ad una bassa dose e gradualmente titolati al rialzo verso la massima dose tollerata.

Nei pazienti ricoverati in ospedale per insufficienza cardiaca acuta invece, i beta bloccanti andrebbero iniziati con cautela una volta che il paziente è stato stabilizzato.

Inoltre i beta-bloccanti  vanno tenuti in considerazione per il controllo della frequenza nei pazienti con HFrEF e fibrillazione atriale, specialmente in quelli con alta frequenza.

Secondo le linee guida essi sono indicati:

  • potenzialmente in tutti i pazienti con insufficienza cardiaca sistolica lieve o moderata (NYHA II-III);
  • e come trattamento di prima linea insieme a ACE-I e MRA nell’insufficienza cardiaca stabilizzata;

Questi farmaci sono anche raccomandati nei pazienti con storia di infarto del miocardio e disfunzione sistolica asintomatica del LV per ridurre il rischio di morte.

Le principali controindicazioni sono:

  • il BAV di II e III grado;
  • l’ischemia critica degli arti;
  • l’asma (principalmente per i beta-bloccanti non selettivi);
  • e le reazioni allergiche o avverse.

Antagonisti del recettore dei mineralcorticoidi (MRA)

Gli MRA (spironolattone ed eplerenone) bloccano i recettori che legano l’aldosterone e, con diversi gradi di affinità, altri recettori per ormoni steroidei (androgeni, corticosteroidi).

Spironolattone ed eplerenone sono raccomandati in tutti i pazienti sintomatici, nonostante terapia con ACEI e beta-bloccanti, con HFrEF e LVEF <=35% per ridurre la mortalità e l’ospedalizzazione per HF.

Occorre cautela quando un MRA viene usato in pazienti con ridotta funzionalità renale (eGFR<30 ml/min) e in quelli con livelli di potassio sierico > 5.0 mmol/L. Pertanto vanno effettuati controlli regolari dei livelli di potassio sierico e della funzione renale in base allo stato clinico.

Trattamenti raccomandati in pazienti selezionati, sintomatici con HFrEF

Diuretici

I diuretici sono raccomandati per ridurre i segni e sintomi della congestione nei pazienti con HFrEF, ma i loro effetti su mortalità e morbidità non sono stati studiati in studi randomizzati controllati.

L’obiettivo della terapia diuretica è mantenere l’euvolemia con la dose più bassa possibile.

I diuretici dell’ansa producono una diuresi più intensa e più breve dei tiazidici. Le due classi agiscono sinergicamente e la loro combinazione si può usare per trattare l’edema resistente, tuttavia così facendo gli effetti collaterali sono più probabili e pertanto l’associazione va usata con cautela.

La dose del diuretico va aggiustata sulla base dei bisogni individuali nel tempo. In pazienti asintomatici euvolemici/ipovolemici la terapia diuretica può essere temporaneamente interrotta.

I pazienti possono essere istruiti ad autoaggiustare la propria dose di diuretico in base al monitoraggio dei segni e sintomi di congestione e alla misurazione quotidiana del peso.

Secondo le linee guida sono indicati:

  • potenzialmente in tutti i pazienti con segni e sintomi di congestione indipendentemente dalla LVEF;
  • nei pazienti con HFrEF andrebbero usati in associazione con un ACE-I (o un ARB), un beta-bloccante e un MRA (salvo intolleranze o controindicazioni a questi farmaci), finché i segni di congestione non scompaiono;
  • nei pazienti con funzione renale preservata e lievi sintomi di congestione si possono associare ai diuretici tiazidici.

Non sono indicati se non ci sono segni di congestione.

Inibitori del recettore della neprilisina e dell’angiotensina

E’ stata sviluppata una nuova classe terapeutica di farmaci che agiscono sul sistema RAAS e sul sistema delle endopeptidasi neutre, si tratta degli inibitori del recettore dell’angiotensina e della neprilisina (ARNI).

Meccanismo d’azione

Il primo della classe è LCZ696, una molecola che combina la porzione attiva del valsartan con il sacubitril (inibitore della neprilisina). Inibendo la neprilisina, la degradazione dei peptidi natriuretici, della bradichinina e di altri peptidi viene rallentata.

Gli alti livelli di peptide natriuretico di tipo A (ANP) e di tipo B (BNP) esercitano i loro effetti fisiologici legando i propri recettori e aumentando la generazione di cGMP. In questo modo incrementano la diuresi e la natriuresi, favoriscono il rilassamento del miocardio ed esercitano un’azione anti-rimodellamento. ANP e BNP inibiscono anche la secrezione di renina e aldosterone.

Il blocco selettivo dei recettori AT1 riduce la vasocostrizione, la ritenzione di acqua e sodio e l’ipertrofia miocardica.

Risultati

Nei pazienti con HFrEF sintomatica con LVEF <= 35%, elevati livelli di peptidi natriuretici ed eGFR >=30 ml/min l’associazione valsartan/sacubitril ha dimostrato di ridurre le ospedalizzazioni per peggioramento dell’HF, la mortalità cardiovascolare e la mortalità globale.

Nonostante lo studio PARADIGM-HF abbia dimostrato la superiorità del valsartan/sacubitril sull’enalapril, restano alcune questioni riguardanti il profilo di sicurezza del farmaco.

Infatti nel gruppo trattato con sacubitril/valsartan erano più frequenti gli episodi di ipotensione sintomatica.

Precauzioni

Per minimizzare il rischio di angioedema dovuto alla sovrapposizione fra inibitore dell’ACE e inibitore della neprilisina, l’ACE-I deve essere sospeso almeno 36 h prima di iniziare il sacubitril/valsartan.

Il trattamento combinato con ACE-I (o ARB) e sacubitril/valsartan è controindicato.

Un’ulteriore interrogativo è l’effetto sulla degradazione del peptide di beta-amiloide a livello cerebrale, che in teoria potrebbe accelerare la deposizione di amiloide. Tuttavia un piccolo studio effettuato su soggetti sani ha mostrato un incremento della forma solubile della proteina beta-amiloide piuttosto che della forma aggregabile. Se tale aspetto fosse confermato anche a lungo termine nei pazienti con HFrEF, indicherebbe la sicurezza cerebrale del valsartan/sacubitril.

Ivabradina

L’ivabradina rallenta la frequenza cardiaca attraverso l’inibizione del canale ionico If presente nel nodo del seno e pertanto dovrebbe essere utilizzata solo nei pazienti con ritmo sinusale.

L’ivabradina è indicata

  • nei pazienti con HF sintomatica stabile e LVEF <= 35%, in ritmo sinusale e con frequenza cardiaca >= 70 bpm, nonostante un trattamento ottimizzato secondo le linee guida;
  • e nei pazienti con insufficienza cardiaca sintomatica stabile già trattati con la massima dose tollerata basata sulle evidenze di un ACE-I (o ARB), un beta-bloccante e un MRA.

Invece è controindicata in condizioni cardiovascolari instabili (sindrome coronarica acuta, ictus, TIA, ipotensione severa), nella disfunzione epatica o renale severa e nella gravidanza.

Bloccanti del recettore di tipo 1 dell’angiotensina

Gli ARBs (Angiotensin receptor blockers) sono raccomandati solo come alternativa nei pazienti intolleranti all’ACE-I.

Pertanto gli ARBs sono indicati nei pazienti con HFrEF che non tollerano gli ACEI a causa di importanti effetti collaterali.

Il candesartan ha mostrato una riduzione della mortalità cardiovascolare.

Il valsartan ha mostrato un effetto sull’ospedalizzazione per HF nei pazienti con HFrEF in trattamento con ACE-I.

La combinazione ACE-I/ARB è limitata solo ai pazienti con HFrEF sintomatica che ricevono un beta-bloccante e non sono capaci di tollerare un MRA, e richiede comunque uno stretto monitoraggio.

Combinazione di idralazina e isosorbide dinitrato

Non esistono prove certe che suggeriscono l’uso di questa combinazione a dose fissa in tutti i pazienti con HFrEF.

Le evidenze sull’utilità clinica di questa combinazione sono scarse e derivano da un piccolo studio randomizzato condotto esclusivamente su maschi prima che fossero disponibili ACEI e beta-bloccanti per il trattamento dell’HF.

Uno studio successivo condotto su soggetti neri ha mostrato che l’aggiunta della combinazione di idralazina e isosorbide dinitrato alla terapia convenzionale (ACE-I, BB, MRA) riduce la mortalità e l’ospedalizzazione nei pazienti con HFrEF e III-IV classe NYHA. I risultati di questo studio sono difficili da trasporre su pazienti di altre origini etniche.

La combinazione idralazina + isosorbide dinitrato si può considerare nei pazienti con HFrEF sintomatica che non tollerano né ACEI né ARB, per ridurre la mortalità.

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